Tomas Norström, il giudice che ha emesso le condanne a The Pirate Bay, è nell’occhio del ciclone. L’emittente radiofonica svedese SR ha infatti scoperto che il giudice fa parte di due gruppi palesemente ostili al celebre tracker BitTorrent.
Norström è infatti membro della Swedish Copyright Association e della Swedish Association for the Protection of Intellectual Property, il che costituirebbe un elemento di conflitto di interesse nella causa contro The Pirate Bay che avrebbe influenzato la sentenza.
Questo è quanto sostiene il legale di Peter Sunde, uno dei quattro condannati, che utilizzerà questa tesi per chiedere l’annullamento della sentenza e quindi un nuovo processo, ovviamente con un giudice diverso.
Dal canto suo, il giudice Tomas Norström respinge le accuse, sostenendo che la sua appartenenza ai due gruppi non è incompatibile con l’incarico e che quindi la sentenza non è stata influenzata.
Le major discografiche, nel frattempo, cercano di cavalcare la sentenza per chiedere ai provider svedesi di bloccare l’accesso a The Pirate Bay ai loro utenti.
Ma gli ISP svedesi, almeno per il momento, si rifiutano di applicare la censura al sito, sostenendo che non è questo il loro compito. In attesa di ulteriori sviluppi della faccenda.
Processo a The Pirate Bay verso l’annullamento: giudice troppo di parte?
Un sequestro ogni 30 ore
Un sequestro ogni trenta ore. È questa la tragica cifra emersa dall'ultima statistica ufficiale colombiana: durante il primo trimestre di quest'anno, si sono registrati 71 rapimenti, 46 dei quali a scopo di estorsione e 25 considerati semplici. Il mese più nero, per adesso, è stato febbraio, con 36 cittadini sequestrati, ossia più di uno al giorno. In gennaio invece ci sono stati 13 casi e 22 a marzo. Dato fondamentale di questa ultima statistica è che nessuno di questi casi è da attribuire alle Farc, Forze armate rivoluzionarie della Colombia, che anzi stanno continuando con la mandata di liberazioni iniziate nell'inverno 2007.Non solo Farc. Sì perché contrariamente a quanto si voglia far credere all'opinione pubblica internazionale, a sequestrare la gente nel paese andino non sono soltanto i guerriglieri rivoluzionari che agiscono per scopi "politici" o ideologici. Ci sono schiere di criminali che si dilettano in questa pratica per racimolare denaro e, anche, bande di paramilitari che fanno sparire persone scomode o che rapiscono per lauti compensi. Nelle statistiche tratte dalla statale Fondelibertad, il fondo nazionale per la difesa della libertà personale, nonostante si tratti di numeri "rivisti e corretti" perché governativi, è evidente il carico di responsabilità delle Farc in questo delitto, ma è altrettanto lampante la colpa dei paracos, a cui è attributio l'11 percento dei sequestri dal 2000 al 2008, e la colpa di bande di criminali comuni, i cui delitti sono rintracciabili dietro la voce "sequestri senza un autore riconosciuto", che ammonta al 45 percento di un totale che arriva a 1617 persone rapite dal 2000.
In nome della verità. Ma queste sono, appunto, cifre ufficiali, che molto si discostano da quelle dichiarate dalla Ong Pais Libre che da anni porta avanti un programma di assistenza integrale al sequestrato e che ha criticato aspramente il governo appellandosi all'amore per la verità.
Secondo Pais Libre, dal 2000 le persone sequestrate sono state 15182, di cui 5915 riscattati, 8593 liberati e 702 morti. Dati che sembrano registrare tutta un'altra situazione rispetto a quelle governative, tanto che la Ong ha deciso di scrivere al governo affinché riveda questi numeri per far luce su questo flagello colombiano "e che lo faccia in maniera trasparente e pubblica", ha dichiarato la direttrice di Pais Libre, Olga Gómez.
Parola delle Farc. Questa guerra sui numeri, che da sempre sono il cruccio dei difensori dei diritti umani, impegnati a diffondere la reale percezione del dramma che sta vivendo la Colombia e non solo a causa dei sequestri, si è rinvigorita nelle ultime settimane, dopo la dichiarazione del Segretariato Farc: "Dopo attenta verifica in ogni comando sparso per il territorio, affermiamo di detenere soltanto nove prigionieri". Da qui la corsa alla smentita che ha portato a revisionare i dati e ha scoperchiare un vaso di Pandora: il governo ha tutto di guadagnato a mantenere il numero di vittime più basso rispetto alla realtà, dato che ci guadagna in propaganda elettorale, ma la Ong non ci sta.
Secondo Gomez il numero dei sequestrati ancora in mano alle Farc è di 326, 156 per motivi economici o politici e il resto per scopi non noti. Questo contro i 9 secondo la stessa guerriglia. Per il governo, invece, sono appena 125 le persone ancora in ostaggio, senza specificare meglio i numeri per autore. Ma come si spiega tanta differenza? Oltre alla propaganda, governativa da un lato, eversiva dall'altro, è noto che molte famiglie preferiscono non denunciare alle forze dell'ordine per paura di peggiorare la situazione e rifugiarsi dalle Ong che promettono loro aiuto e competenza.Rapimenti e rapimenti. Al di là di ogni polemica sui numeri, comunque, emerge una sola verità: la Colombia resta un paese vittima del sequestro, sia a scopo economico che politico, sia per mano guerrigliera che non. Perché oltre ogni numero è importante sapere che ci sono due tipi di sequestro che implicano due diverse conseguenze: o si viene rapiti per ottenere un riscatto (e sono la maggioranza dei casi) o perché in qualche modo siamo riscattabili in cambio di altro (vedi i prigionieri politici delle Farc che dovrebbero essere liberati in cambio di un tot di guerriglieri arrestati). Nel primo caso si tratta per lo più di sequestri lampo per mano di bande criminali (ma anche di paramilitari e qualche volta di guerriglieri che intimano il pagamento dell'imposta rivoluzionaria) che terminano o con il pagamento del riscatto (o della cosiddetta tassa), o con la liberazione per merito di blitz delle forze dell'ordine (nella minoranza dei casi) o, e succede spesso, con l'uccisione della vittima (accade per lo più quando gli autori sono paracos o malviventi comuni). Nel secondo caso si tratta di rapimenti che possono durare anche anni (esemplare il noto caso di Ingrid Betancourt) e gli autori sono i gruppi rivoluzionari (Farc o Esercito di liberazione nazionale) che tentano di accumulare persone da poter scambiare quelli che loro chiamano i prigionieri politici con loro uomini in mano allo Stato. Solitamente finisce con la liberazione dopo lunga prigionia. È questo il caso di Alan Jara, ex governatore del Meta, e di Sigifredo López , ex deputato del Valle, gli ultimi due rapiti per motivi politici liberati dalle Farc. Con la loro liberazione, si presume che, eccetto i 24 definiti scambiabili dalla stessa guerriglia, tutti gli altri ancora sotto sequestro siano tutti per motivi economici. Ma quanti sono veramente?
fonte: PeaceReporter
Laureati e analfabeti
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PARLIAMO DI UNIVERSITA'.
Cioè dell’Università dei concorsi bloccati, della parentopoli, degli scandali dei baroni.
L’Università delle lauree vendute e dei testi falsificati.
L’Università truccata, come rivela in un bel libro della Einaudi, il professor Roberto Perotti, docente della Bocconi: l’Università che nelle classifiche internazionali finisce dietro quella delle Hawaii, che spende più di tutto il resto del mondo (16mila dollari per ogni studente contro i 7mila degli Usa) ma non dà risultati scientifici né una formazione adeguata. L’Università che, grazie alle sue inefficienze, premia le élite e, contrariamente a quello che si crede, punisce i ceti meno abbienti: solo l’8 per cento degli universitari italiani proviene dalle fasce più basse contro il 13 per cento degli Stati Uniti. Ma non erano i costosi Atenei americani il simbolo dell’anti-democrazia educativa?
Oggi l’ultima scoperta: all’Università di Como ci sono 24 docenti per 17 studenti. Un bel record, non vi pare? In sei anni le Università hanno moltiplicato i corsi di laurea: da 2444 a 5400. E non tutti utilissimi, si direbbe a prima vista. In effetti oggi si può diventare dottori, tanto per dire, in scienza dell’aiuola, in mediazione dei conflitti, in tecnologia del fitness, in scienza del fiore e in benessere animale. Manca solo il corso di laurea in raffreddore dei suini e quello in filosofia delle oche e poi il quadro sarebbe completo.
Ma poi che sbocchi danno queste facoltà? E chi le frequenta? Tenetevi forte: trentasette corsi di laurea in Italia (dicasi: 37) hanno un solo studente, a questi vanno poi aggiunti altri 66 corsi che hanno meno di sei studenti. Ma vi pare possibile? Tenere in piedi un corso di laurea e relative spese per un unico studente? O per due o tre?
A Siena hanno collezionato un buco di 145 milioni, non pagano le tasse dal 2004. Poi vai a vedere i bilanci e scopri che, per esempio, l’oculato ateneo spendeva 150mila euro l’anno per affittare alcune stanze di lusso con affaccio su piazza del Campo: inutile tutto l’anno, certo, ma nei giorni del Palio, sai che goduria...
L’Università di Siena utilizza il 104 per cento del suo bilancio per pagare stipendi. 104, avete capito bene: e per tutto il resto? Niente. Nell’ateneo toscano i tecnici sono più numerosi dei professori. E non è un caso unico: a Palermo, per esempio, ci sono 2.103 professori e 2.530 amministrativi, a Messina 1.403 professori e 1.742 amministrativi. La Federico II di Napoli, che nelle classifiche si piazza fra le dieci peggiori università d’Italia, spende il 101 per cento dei suoi soldi per il personale. L’impressione è che anche le facoltà, come la scuola, negli ultimi anni siano stati concepiti più come ammortizzatori sociali che come luoghi di formazione: non si sa se chi esce troverà un posto di lavoro. L’importante è che trovi un posto di lavoro chi resta dentro.
PARLIAMO DI SCUOLA.
L’ultimo scandalo della scuola si chiama Supplentopoli. Ogni anno 150 insegnanti accettano l’incarico e poi dicono di essere in maternità. E così la supplente dovrà essere sostituita da un’altra, sperando che anche quest’ultima non si giochi la carta della dolce attesa. Un meccanismo perverso in vigore solo in Italia, che comporta allo Stato un insostenibile spreco di denaro. Questo a sentire le testimonianze dell’Andis, l’Associazione dei dirigenti scolastici. I dati in possesso dell’organizzazione che raggruppa i presidi sono emblematici: ogni anno oltre mille tra supplenti, precari e fuori ruolo fanno ricorso ad aspettative di maternità e congedi parentali. La legge lo permette. E chi ne fa ricorso è pienamente in regola.
Un altro esempio? Per un posto vengono pagati cinque docenti mentre per sostituire un insegnante si arriva a fare 574 telefonate.
Tra telefonate e telegrammi di convocazione (obbligatori per legge), la scuola italiana spende 50-60 milioni di euro l’anno (Roma guida la classifica con 2 milioni l’anno), secondo uno studio della rivista Tuttoscuola la spesa complessiva sarebbe però addirittura di 110 milioni. Una mostruosità normativa di cui beneficiano, con modalità diverse, tutte le figure professionali impegnate nel mondo della scuola la cui gestione è regolamentata attraverso le graduatorie. Parliamo dell’esercito più numeroso nell’ambito del pubblico impiego: nel reparto istruzione lavorano infatti un milione e 300mila persone che negli ultimi 10 anni hanno determinato l’aumento del 30% dei costi, portando la spesa complessiva da 33 a 43 miliardi di euro.
Fin qui il malcostume. Poi ci sono i reati da codice penale. Come lo scandalo della graduatorie truccate a Napoli con 60 professori denunciati. Punteggi ritoccati da pirati del web in cambio di tariffe tra i 100 e i 300 euro. Un tariffario a misura dei furbetti delle supplenze che presuppone la presenza di una talpa all’interno del Provveditorato agli studi di Napoli.
fonte: malagiustizia.eu
GLI EROI PERSEGUITATI DEL PAESE RUBATO
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DI ANTONELLA RANDAZZO
lanuovaenergia.blogspot.com
L’italiano sembra possedere capacità interiori molto elevate, che se utilizzate possono distinguerlo per coraggio morale, potenzialità creative e bisogno di agire con onestà e correttezza.
Lo so, forse qualcuno sta pensando che stia vaneggiando: diversi italiani possono avere una sorta di inclinazione a compiangersi, credendo che altri, inglesi, francesi o statunitensi, abbiano qualcosa in più di loro. E’ celebre la frase “soltanto qui può accadere questo”, alludendo ai tanti paradossi che accadono nel paese del sole.
Come è stata creata questa tendenza autodenigratoria nell’animo italiano?
Capire la realtà italiana è impossibile senza capire il sistema coloniale che è stato innestato da tempi immemori, e le persecuzioni che sono state da sempre rivolte ai nostri illustri connazionali, ovvero a molti di coloro che hanno manifestato il “genio” italiano senza timore.
Molti italiani non conoscono la loro stessa storia e la quantità di illustri compatrioti perseguitati e talvolta uccisi per il loro coraggio e talento.
Non si tratta di sciovinismo, ma di riconoscere le notevoli risorse dell’animo italiano, manifestate dai tanti italiani che hanno avuto un ruolo importantissimo su questo pianeta, dimostrando altissime qualità morali e coraggio nello sfidare l’attuale sistema criminale.
Gli esempi possono essere tanti.
E’ stato un italiano, Enrico Mattei, a sfidare per la prima volta le grandi corporation petrolifere, al fine di poter avere libertà nell’approvvigionamento delle risorse energetiche. Si è trattato di italiani, Falcone e Borsellino, quando per la prima volta nella Storia gli intrecci tra le mafie internazionali e le grandi banche stavano per essere smascherati. Si è trattato di italiani quando la tecnologia stava per approdare a nuovi e importanti orizzonti, o quando la scienza oltrepassava il limite della fisica di Newton.
Molti grandi italiani potevano cambiare in meglio il futuro del paese, se non fossero stati contrastati ferocemente dal gruppo dominante. Spiega il giornalista Mario Pirani:
“Enrico Mattei... e Adriano Olivetti… (uniti) dalla concomitante e anticipatrice scommessa sull’importanza decisiva della politica energetica, ... e di quella elettronica… personalità controcorrente, di diversa estrazione e provenienza, ma che avevano in comune la rara capacità di precorrere i tempi e d’intuire l’evolversi di processi destinati di lì a poco a ingigantirsi. Eppure il loro disegno non poté compiersi… Se l’ostilità di banchieri, finanzieri, imprenditori e politici che fecero mancare l’indispensabile supporto alla triplice impresa, quando anche non la silurarono apertamente, non si fosse manifestata con tanta virulenta determinazione, non sarebbe forse possibile immaginare un solido approdo ‘giapponese’ in chiave europea, del miracolo economico italiano, tale da incardinare in solide fondamenta il nostro futuro economico”.(1)
Esistono esseri umani talmente geniali da suscitare stupore, a cui non è stato permesso di attuare i loro progetti o di raggiungere la notorietà come altri personaggi assai meno talentosi.
Il matematico italiano Gregorio Ricci Curbastro elaborò la matematica che servì ad Einstein per proseguire le sue ricerche.
Di questo studioso, sconosciuto ai più, ha parlato Fabio Toscano nel libro "Il genio e il gentiluomo", nel tentativo di dargli, almeno in parte, quella fama che meriterebbe. Ma non bisogna illudersi: mentre Einstein godrà in perpetuo di una straordinaria notorietà, il nostro Curbastro rimarrà pressoché sconosciuto. Eppure nel 1916 Einstein si sarebbe rivolto al collega Marcel Grossmann per ricevere aiuto dato che non riusciva ad andare avanti nelle sue ricerche. Grossmann gli segnalò la matematica del "calcolo differenziale assoluto" elaborata da Ricci Curbastro, che all’epoca insegnava matematica all'Università di Padova.
La stessa teoria della relatività non sarebbe opera di Einstein ma di un italiano, un matematico autodidatta di nome Olinto De Pretto. La rivelazione è stata fatta dal giornale inglese “Guardian” nel 2007. Nel novembre del 1903, De Pretto pubblicò un articolo dal titolo “Ipotesi dell’etere nella vita dell’Universo”, in cui diceva che “la materia di un corpo contiene una quantità di energia rappresentata dall’intera massa del corpo, che si muovesse alla medesima velocità delle singole particelle”. Il professor Umberto Bartocci, docente di Storia della matematica all’Università di Perugia, spiega che soltanto per un difetto nell’impostazione la teoria del De Pretto non sarebbe stata capita. Solo nel 1905, lo studioso svizzero Michele Besso avrebbe avvertito Einstein del fatto che la sua teoria era stata elaborata due anni prima da De Pretto, ma a quest’ultimo non fu mai attribuito alcun merito.
Bartocci dedicò alla questione un libro dal titolo “Albert Einstein e Olindo De Pretto – La vera storia della formula più famosa del mondo” (pubblicato nel 1999 da Andromeda), in cui spiega: “De Pretto non scoprì la relatività però non ci sono dubbi sul fatto che sia stato il primo ad usare l’equazione e questo è molto significativo. Sono anche convinto che Einstein usò le ricerche di De Pretto, sebbene questo sia impossibile da dimostrare”.
Molti altri italiani non hanno avuto l’onore e la fama che meritavano.
L’imprenditore Adriano Olivetti attuò il sistema dei consigli di gestione, permettendo la partecipazione dei lavoratori alla gestione aziendale e l’invenzione del primo computer.
Nel 2008 sono state organizzate diverse commemorazioni in occasione del centenario della nascita della storica azienda Olivetti. Pochi sanno del progetto innovativo elaborato da Adriano Olivetti. Egli, ingegnere chimico, sentiva di avere un importante compito nello sviluppo dell’azienda. Per questo motivo porterà avanti una notevole ricerca, a cui dedicherà ben 18 anni di vita, fino alla tragica morte avvenuta mentre andava da Milano a Losanna su un convoglio ferroviario, la notte del 27 febbraio 1960.
Adriano voleva cambiare le strategie industriali, a tal punto da renderle moderne, ovvero tecnologicamente avanzate. La Olivetti, nel 1959, acquisterà un'industria americana, la Underwood, e produrrà il primo grande elaboratore italiano, l'Elea 9003.
L'Elea 9003 è stato il primo calcolatore del mondo che operava in multiprogrammazione, permettendo a più utenti di operare in parallelo, riducendo i tempi di attesa dei risultati.
Nei primi anni Sessanta, l’ingegner Piergiorgio Perotto realizzava un calcolatore elettronico personale innovativo. Nel '65, in contrasto con le prospettive poste in essere dall’azienda, nasce Programma 101 (detto Perottina), il primo computer della storia.
Grazie ad Adriano, la Olivetti diventò un esempio per gli imprenditori di tutto il mondo, offrendo un modello di imprenditoria che armonizzava lo sviluppo delle potenzialità umane e l’esigenza di innovazione tecnologica. Tale modello sarà osteggiato dall’elitè statunitense, che vedeva nello spazio dato ai lavoratori e nei progressi tecnologici non controllabili un pericolo al suo potere.
Per questo motivo, Adriano Olivetti dovrà subire una serie di persecuzioni e l’ostracizzazione dell'establishment industriale.
Dopo la sua morte, l’azienda attraverserà un periodo di crisi, e il gruppo di potere finanziario e industriale mirerà a limitare fino a sopprimere l’iniziativa della divisione elettronica Olivetti, senza trovare ostacoli politici.
In seguito all’acquisto dell'azienda Underwood, la Olivetti si era indebitata, e questo permetterà al gruppo di potere finanziario di indurre, nel 1964, il Comitato di Risanamento e il Consiglio di Amministrazione a cedere l’intero settore elettronico dell'Olivetti alla General Electric. Nel 1967 la Hewlett Packard versò 900.000 dollari all'Olivetti, per aver violato il brevetto del Programma 101 (il programma di creazione del primo computer) con il suo modello HP 9100. Un dollaro simbolico fu versato dall'Olivetti all'ingegner Piergiorgio Perotto, che fu l’inventore del primo personal computer della storia.
Le tante invenzioni degli italiani spesso non sono valse ad affermare il genio italiano e a contrastare la scarsa capacità innovativa del nostro paese. Si tratta di un limite posto dal gruppo dominante al fine di condizionare la crescita di un paese che potrebbe sfuggire al controllo qualora fosse lasciato libero di svilupparsi come potrebbe.
Oggi come ieri, attraverso le risorse finanziarie e il controllo politico ed economico, al nostro paese non è permesso un vero e proprio sviluppo. Basti pensare al caso della tecnologia relativa alle energie solari (centrali solari termiche), che il fisico italiano Carlo Rubbia sta mettendo a punto all’estero, in paesi come la Spagna e la Germania, poiché non gli è stato permesso di farlo nel paese del sole.
Anche da recente si è fatto onore un eroe italiano, trattato da mascalzone da alcuni media, pur avendo salvato la vita a diverse persone.
Si tratta di Giampaolo Giuliani, inventore di un metodo atto a prevedere i terremoti attraverso il monitoraggio del Radon che fuoriesce dalla crosta terrestre. Questo metodo potrebbe essere perfezionato e reso assai più efficace di quanto non sia attualmente. Spiega Giuliani:
“(All'Aquila) E' successo che delle tre stazioni che fino al momento del sisma stavano funzionando, e funzionavano bene, una indicava come vettore la posizione dell'epicentro dell'evento che abbiamo avuto. Le altre due stazioni denunciavano il grado sismico dell'evento, ed è da una in particolare, quella più vicina all'epicentro, che si capiva che qualcosa di disastroso stava avvenendo… Certo, la nostra è una ricerca sperimentale. Sicuramente abbiamo una notevole mole di dati che ci permettono di avere informazioni anche scientifiche sul comportamento del Radon che ancora oggi non sono ben conosciute. Non solo, ma questo sistema ci ha dato garanzia, non ultima l'evento che abbiamo subito, che un forte evento può essere in qualche modo allarmato con un certo margine di anticipo… Abbiamo tentato dal 2002-2003 di avere un supporto da tutte le comunità scientifiche: dall'INGV (Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia) alla Protezione Civile... Ci siamo sottoposti a test di funzionamento ufficiali… Tutte le richieste di collaborazione che abbiamo fatto ci sono state rigettate perchè tutti i tecnici che avrebbero in qualche modo dovuto guardare, vedere che cosa stavamo ottenendo, ci dicevano "I terremoti non possono essere previsti. Non potranno mai essere previsti, quindi quello che lei sta studiando non serve!"… Dalla Russia, dalla Germania, dalla Romania, dagli Stati Uniti, dal Giappone... I professori delle università di tutto il mondo mi hanno detto: "Non sei solo in questa storia. Quello che stai facendo è vero. Anche noi, che osserviamo e misuriamo le stesse cose che stai osservando tu, abbiamo gli stessi riscontri e gli stessi risultati. Vai avanti!"… Ci siamo pagati tutto da soli in questi dieci anni. Ci rimboccheremo le maniche, rimetteremo in moto tutto, porteremo avanti la nostra ricerca, metteremo in piedi le altre due stazioni che dovevano nascere, e con cinque stazioni forse riusciremo ad evitare, se dovesse ricapitare domani, un disastro del genere. Forse riusciremo ad evitare che ci possano essere così tanti morti, ...perchè molti di questi potevano in qualche modo essere salvati”.(2)
Le persecuzioni in cui Giuliani è incorso e il grado ossessivo con cui nei media ufficiali gli “esperti” ripetevano “i terremoti non si possono prevedere”, fanno perlomeno insospettire. Nei giorni in cui tutte le reti televisive si occuparono costantemente del terremoto dell’Aquila, nei programmi più seguiti non ci fu ospite nessuno scienziato che la pensasse diversamente rispetto alle fonti ufficiali. Eppure moltissimi scienziati sono convinti che possano essere messe a punto tecniche atte a prevedere i terremoti. Ad esempio, il professore di Fisica all’Università di Bari, Francesco Biagi, spiega: “I sistemi per prevedere un terremoto già esistono, è che mancano i soldi per perfezionarli… Nel 2005 abbiamo presentato un progetto alla Regione per l’installazione di 25 centraline per il rilevamento di radon e stazioni radio a bassa frequenza (alcune anche nel Gran Sasso). Per un punto siamo stati esclusi dalla graduatoria e le prime centraline sono state disattivate”.(3)
Quello che i mass media volevano nascondere è che non si investono soldi per salvare vite umane. L’intero sistema non è incentrato sulla vita e sulla crescita sociale e civile, ma sulla miseria e sulla morte, che sono funzionali a tenere in piedi il potere di un gruppo di criminali. La morte può persino accrescere il loro potere, specie quando viene spettacolarizzata e diventa un mezzo per stornare l’attenzione da più pericolosi eventi.
Sta di fatto che chi ha seguito l’avviso di Giuliani si è salvato, mentre molti di coloro che hanno seguito la voce ufficiale di “tornare nelle proprie abitazioni” sono morti.
Spiega una reduce residente a Poggio Picense (AQ), Stefania Pace:
“Quella sera, la sera del 5 aprile, verso le 20.30 ci siamo messi a cena ed è arrivata una scossa di terremoto. Ho acceso il computer, ho guardato il grafico e mi sembrava fuori da ogni ragionevole parametro, perchè raggiungeva picchi altissimi e ho addirittura ipotizzato che fosse rotto il rivelatore. Ho chiamato Giuliani, che al momento non era davanti al computer, e che dopo avere controllato mi ha confermato che la concentrazione di Radon era molto alta, e che avremmo dovuto aspettarci una scossa… La protezione civile assicurava che era tutto sotto controllo, la situazione era normale, non c'erano allarmi. Al chè la maggior parte delle persone che erano lì fuori sono rientrate, perchè la gente si fida della protezione civile. Io invece ho richiamato Giuliani, prima dell'una, e lui mi ha detto che ci sarebbe stata una scossa più forte. Mi ha detto che avrei dovuto restare in macchina, di non rientrare. Io e la mia amica Patrizia abbiamo pensato che era il caso di avvertire tutte le persone che erano rientrate… Anche perchè ci trovavamo in località Il Colle di Paganica, un posto dove ci sono tutte case vecchie, in pietra, magari mai ristrutturate, per cui si sarebbero sbriciolate come poi è avvenuto. La mia amica e suo marito hanno cominciato a fare su e giù per i vicoli, cercando di tirare fuori le persone dalle case, suonando tutti i campanelli. Molte di loro si sono anche arrabbiate, perchè dicevano "Ma come! La protezione civile ci ha detto di rientrare, e tu adesso ci chiami e ci fai uscire di nuovo di casa?"… Alle tre c'è stata la scossa. Abbiamo visto le case che ci si sbriciolavano davanti agli occhi, i fili della corrente prendere fuoco. Un inferno, ma le persone che erano lì con noi erano vive. Giuliani, indirettamente, ha salvato molte vite. Anche se lo hanno messo a tacere in questo caso è riuscito a dare un allarme e a salvare tantissime persone. Tutte quelle persone gliene sono grate, compresa me… La protezione civile ha sempre cercato di non creare allarme, ma in realtà l'allarme c'era. Bastava soltanto far uscire le persone di casa almeno dai centri storici per non causare tutte quelle vittime… passava il messaggio: ‘Non date retta ai ciarlatani! I ciarlatani dicono che prevedono i terremoti, e invece i terremoti non si possono prevedere’. Questo ci fa capire quanto l'informazione sia stata in qualche modo complice di tutte queste morti… La gente si è fidata. Sbagliando, si è fidata!”(4)
Racconta Giuliani: “Il 5 aprile, alle 20.00, constato che la situazione è fortemente anomala, e vado a scaricare i dati alla scuola Edmondo De Amicis. Incrociando i dati, verso le 22.00 o le 23.00, vedo che la situazione si sta evolvendo verso una situazione catastrofica, un forte evento. Non so chi avvisare. Tantissimi nell'aquilano che conoscono la mia tecnica e i nostri studi osservano i grafici su internet che denunciano una situazione piuttosto allarmante, e prendono autonomamente la decisione di abbandonare le case e passare la notte fuori. Io invece ho vissuto una situazione drammatica perchè vedevo montare un evento disastroso e non sapevo cosa fare… Avevo subito pressioni: anche se avessi visto un evento catastrofico non avrei dovuto allertare e dirlo a nessuno! … vedevo il Radon che continuava a salire, il tempo di continuare a fare i calcoli nella speranza di avere sbagliato qualcosa, ... Tante persone che non hanno avuto la possibilità di saperlo, trecento persone, sono morte. Ma se fosse stata data la segnalazione… forse... avrebbero potuto essere salvate molte persone in più."(5)
In molti illustri cervelli italiani non c’è stato soltanto ingegno artistico o scientifico, ma anche quella nota umanistica che ha irradiato un senso di crescita civile, umana e sociale, ben al di là del puro profitto e interesse personale. Molti grandi italiani, famosi o sconosciuti, hanno portato un contributo importantissimo in molti settori, evidenziando non soltanto l’idea del genio creativo italiano, ma anche del cuore grande che gli esseri umani possono avere.
In Italia gli innovatori sono talvolta come eroi incompresi. “Nemo propheta in patria”, e come profeti resi impotenti devono vivere una vita difficile, sottomettendosi alla cultura dominante che li costringe ad imitare modelli di scarsa qualità, rinunciando ad utilizzare le proprie risorse. Paradossalmente, oggi l'imprenditoria italiana è costretta ad essere prigioniera della sindrome che le fa preferire tutto quello che proviene d’oltreoceano, attuando una tendenza esterofila.
Ovviamente, tutto questo non è liberamente scelto e voluto dalla maggior parte degli imprenditori italiani, ma è frutto dell’attuale sistema di potere oppressivo, che, oltre al controllo sulla politica e sulle finanze, esige anche il controllo sulla ricerca, anche a costo di ridurre un paese creativo come il nostro in un vassallo dalle poche speranze di indipendenza e sviluppo.
IL CONTROLLO DELL’OPINIONE PUBBLICA
Come ogni regime politico fa perno sui governati, la madre di tutte le battaglie ha luogo all’interno dello scenario dell’opinione pubblica, di cui si cerca il consenso.
Nel XVIII secolo il pensatore inglese David Hume convertì il luogo comune in una teoria dello stato. “Il governo si basa solamente sull’opinione”, disse quando ebbe saggiamente capito che i governanti non sono sostenuti se non dal potere concentrato di pareri simili di privati cittadini.
Anche Jean Jacques Rousseau, creatore del Contratto Sociale, affermò in modo simile: “L’opinione, regina del mondo, non è sottomessa al potere dei re; essi stessi sono i suoi primi schiavi”.
All’interno del comunismo fu l’italiano Antonio Gramsci, considerato il Lenin della rivoluzione in occidente, quello che comprese come nessun altro che la lotta per il potere è una lotta ideologica. Gramsci non consigliava ai suoi di prendere l’apparato statale con la violenza. Proponeva invece di infiltrarsi nelle trincee della società civile (scuola, media, chiesa ecc.), in seno a cui si forma l’opinione pubblica.
Nella storia, diceva, abbondano gli esempi di personaggi che, arrivati ad impadronirsi dello stato senza avere il consenso ideologico della società, dovettero alla fine lasciare quel potere effimero. Una delle fonti principali dell’opinione pubblica sono i mezzi di comunicazione, che secondo una strategia rivoluzionaria in chiave gramsciana emergono come una delle trincee da conquistare.
In questo senso, tra gli esperti di comunicazione si è creato il problema di determinare il vero potere dei mezzi d’informazione sul pubblico. Una corrente di pensiero sostiene che sono onnipotenti.
La cosiddetta “teoria ipodermica” assicura che i mezzi instillano i loro messaggi nel pubblico, che li riceve passivamente e reagisce secondo schemi fissi.
Se, come dice Hume, “il governo si basa solo sull’opinione”, si capisce che chi ha la capacità di condizionare il pubblico, nella fattispecie i mezzi d’informazione, ha a sua volta un immenso potere persuasivo sulla sfera politica.
Un professore nordamericano, Herbert Schiller (1919-2000), specialista in comunicazione e cultura, ha abbozzato questa inquietante teoria: “Le guerre future saranno vinte da chi controllerà i mezzi di comunicazione e potrà contare sull’appoggio delle grandi aziende, le multinazionali con la capacità di ribaltare e mettere in piedi i governi”.
In Argentina molti conferiscono queste capacità al gruppo multimediale di proprietà del quotidiano “Clarín”. Si porta come esempio il fatto che l’imposizione nel paese della “pesificazione asimmetrica” * avvenne grazie alla campagna a favore portata avanti dal gruppo. Grazie a questo accorgimento il gruppo Clarín avrebbe superato una situazione economica critica, in quanto era già pesantemente indebitato in valuta statunitense. Il governo Kirchner, che fino a poco fa aveva l’aperto appoggio di “Clarín”, oggi sembra aver rotto questa relazione.
Indipendentemente da questo incidente, molti credono che, per un candidato a una qualunque funzione pubblica importante, in Argentina oggi sarebbe problematico avere successo senza l’appoggio di questi media.
Dall’altra parte ci sono coloro che propongono il controllo statale dei media. Alla fine si tratta di rimpiazzare un monopolio con un altro.
Il tentativo ricorda il tema di “1984”, il romanzo di George Orwell, scritto nel 1948, in cui si ipotizza un regime politico in cui si mescolano nazismo e stalinismo e che utilizza i mezzi di comunicazione per dominare la società.
*Politica monetaria al tempo della crisi argentina del debito che prevedeva un diverso tasso di conversione tra peso e dollaro a seconda dell'ammontare totale dei depositi. Una spiegazione nel contesto della crisi argentina può essere trovata al seguente link (in spagnolo). N.d.r.
Titolo originale: "El control de la opinión pública"
Fonte: http://www.eldiadegualeguaychu.com.ar
I "doveri" nella democrazia
In senso stretto, “democrazia” significa “potere del popolo”, ed è riferito alle forme di governo in cui si cerca – almeno nelle intenzioni - di mettere in pratica questo principio altamente idealistico di distribuzione equanime del potere.
In senso lato il termine “democrazia” viene usato per indicare una generica “parità di diritti” fra gli individui – in qualunque situazione - dove non esistano privilegiati nè sfavoriti in partenza.
Si dice, ad esempio, che “internet è democratico” perchè tutti possono parlare, mentre “la TV è oligarchica”, perchè solo alcuni possono farlo. Nel cogliere questo aspetto dei mezzi di comunicazione di massa, Pasolini è sempre stato all’avanguardia (meglio di lui lo avrebbe detto forse soltanto McLuhan, con il suo folgorante “Il mezzo è il messaggio”):
La “democrazia di internet” pone però una nuova serie di problemi, poichè troppe persone confondono “democrazia” con libertà, e “libertà” con assenza di responsabilità.
Una volta stabilito che usiamo il termine “democrazia” in senso lato, per indicare i “pari diritti” di cui ciascun cittadino gode nella rete, …
… dobbiamo ricordare che nessun diritto può esistere senza un dovere che in qualche modo gli sia complementare. Per fare esempi di una banalità assoluta, diciamo che il mio diritto di urlare finisce dove inizia il tuo di non vederti sfondare i timpani, che il mio diritto di inquinare finisce dove inizia il tuo di respirare aria pulita, ecc. ecc.
Dove finisce quindi il “diritto di parlare” di un individuo – ammesso e non concesso che debba finire - in una “democrazia” come Internet?
Partiamo dal “non concesso”:
Teoricamente, non esistono limiti alla libertà di espressione (*). In Internet chiunque ha diritto di dire tutto quello che vuole, nel modo in cui vuole, e per tutto il tempo in cui vuole farlo: basta che apra il suo blog personale, e può passare intere giornate ad urlare dal suo balcone privato, senza tema di essere disturbato da nessuno.
Nessuno infatti è obbligato a venire ad ascoltarlo.
Ma questa non è democrazia, è micro-monarchia moltiplicata all’infinito. Se ciascuno fa quello che vuole nel giardino di casa sua gode al massimo di un diritto territoriale, stabilito dal catasto, e non di un diritto “individuale”, in quanto membro di una collettività.
Finchè c’erano terre libere (si fa per dire) da occupare verso occidente, in America nessuno si è mai preoccupato di fare leggi vere e proprie. Bastava quella che, non a caso, era chiamata “legge del Far West”.
I problemi iniziano quando si vuole coabitare. Quando la “verde vallata” di ciascuno diventa la piazza cittadina di tutti.
Chi sia mai stato in Piazza del Duomo negli anni settanta, alla sera dopo le sei, sa bene cosa significhi “libertà di dire quello che si vuole” in mezzo a tutti gli altri. E’ il rumore assoluto, in senso letterale e in senso metaforico.
Quei pochi che volevano scambiarsi due opinioni alla fine dovevano appartarsi in un vicolo laterale, per riuscire a sentire quello che diceva la controparte, e poi replicare.
Questo pone una serie di problemi non da poco, quando si voglia instaurare in Internet un luogo comune di discussione, aperto a tutti, in cui venga “democraticamente” rispettato il diritto di ciascuno alle proprie opinioni.
E vi posso garantire – detto da chi si sforza di farlo ormai da molti anni – che la cosa è tutt’altro che facile.
“Regolamentare” infatti significa automaticamente “limitare”, e questo va contro il principio stesso di “libertà di espressione”. Se “sei libero di” ma “solo se” - viene da chiedersi - allora che libertà è?
Torniamo all’esempio di Piazza del Duomo, e vediamo “analiticamente” che cosa hanno fatto le persone che si sono appartate a discutere nel vicolo. Poichè per discutere bisogna capire cosa dice l’altro, qualcuno ad un certo punto avrà detto: “Sentite, andiamo dietro l’angolo, che qui non si capisce una mazza”, e gli altri lo hanno seguito.
Ma una volta arrivati dietro l’angolo non hanno avuto bisogno di “stabilire” nessuna ”regola della conversazione”, prima di iniziare finalmente a parlare.
Uno di loro avrà semplicemente detto: “Scusa, cosa stavi dicendo?” L’altro avrà risposto “Stavo dicendo che secondo me bla bla bla…” e lo scambio di idee è finalmente andato in porto, senza che nessuno si stupisse particolarmente per questo. Anzi, alla fine avranno pure detto: “Cazzo, potevamo venire via prima, senza stare a perdere mezz’ora in quel casino”.
Che cosa è cambiato - oltre al livello fisico del “rumore” - fra la confusione di Piazza del Duomo e la discussione nel vicolo? E’ cambiato che quando uno parlava gli altri lo ascoltavano, e potevano poi replicare.
Cosa sarebbe successo se invece, una volta nel vicolo, uno di loro avesse iniziato comunque a gridare sugli altri, interrompendoli sistematicamente? Prima gli avrebbero chiesto di smettere, poi lo avrebbero mandato affanculo.
Avrebbero per questo “limitato la sua libertà di espressione”?
Sì, e no.
Sì, perchè di fatto gli avrebbero impedito di esprimersi a 360°. No, perchè era sottinteso che fossero venuti nel vicolo proprio per discutere, quindi lui con quel comportamento impediva di farlo.
Capita a quel punto, di solito, che invece di riconoscere il proprio errore l’allontanato vada in giro per altri vicoli a piagnucolare, dicendo che “quelli là non lo lasciano parlare”, e che lì “non sono affatto democratici come dicono di essere”.
Ma può davvero costui accusare gli altri di essere stati “antidemocratici”?
No, perchè lui inizialmente HA AVUTO pari opportunità rispetto a tutti. E’ stato lui ad approfittarsene, usando quell’opportunità per uno scopo diverso da quello comunemente stabilito. E’ quindi lui, casomai, ad essere stato “antidemocratico”, poichè estendendo arbitrariamente il proprio “diritto di espressione” oltre le orecchie altrui ha finito per limitare il loro diritto di sentire cosa si diceva.
Come spesso accade, la gallina che starnazza è proprio quella che ha fatto l’uovo.
In conclusione, nel mio tentativo di governare al meglio questo piccolo “vicolo”, io posso stabilire ed affiggere tutte le regole di questo mondo, ma alla fine il criterio a cui devo rifarmi rimane uno solo: la persona è veramente intenzionata ad uno scambio costruttivo di idee (**), o desidera invece inquinarlo, se non magari impedirlo del tutto?
Dopodichè agisco di conseguenza, nella piena convinzione di salvaguardare prima di tutto il diritto di espressione degli altri – e quindi il sito stesso - anche se le mie azioni a volte possono apparire incoerenti, se non contraddittorie del tutto.
fonte: luogocomune.net
SELEZIONE NATURALE, COL TRUCCO !!!
![](http://www.malagiustizia.eu/testimonianze%20concorsopoli%20forense_file/image002.jpg)
INUTILE NEGARE L'EVIDENZA
A dicembre di ogni anno si svolgono presso tutte le Corti d’Appello d’Italia le prove scritte del concorso forense. Come ogni anno migliaia di aspiranti avvocati si presentano all'esame. Le Commissioni d'esame sono composte da Magistrati, Professori Universitari e Avvocati. Con la riforma del 2003 sono stati esclusi dalle commissioni d’esame i Consiglieri dell'Ordine degli Avvocati, competenti per territorio, minando, di fatto, il loro prestigio. Le commissioni locali fanno gli orali e vigilano sullo scritto, mentre gli elaborati con i pareri resi sono corretti da altre commissioni estratti a sorte. E' un duro colpo alla credibilità dei commissari locali. Comunque tutto ciò non basta a dissipare i dubbi sulla regolarità del concorso.
Pareri legali dettati ai candidati dagli stessi commissari o dai genitori sui palmari. Pareri resi su tracce già conosciute perché pubblicate su internet o perché le buste sono aperte ore dopo rispetto ad altre sedi, dando il tempo ai candidati di farsi passare il parere sui cellulari. Pareri di 5 o 6 pagine non letti e corretti, ma falsamente dichiarati tali in soli 3 minuti, nonostante vi fosse l’onere dell’apertura di 2 buste, della lettura, della correzione, del giudizio, della motivazione e della verbalizzazione. Il tutto fatto da commissioni illegittime, perché mancanti dei componenti necessari e da giudizi nulli, perché mancanti di glosse, correzioni e motivazioni. Il tutto fatto da commissioni che limitano l’accesso e da commissari abilitati alla professione con lo stesso sistema truccato. Non è da trascurare il velato impedimento al ricorso al Tar nel ritardare la correzione o la consegna dei compiti, rispetto alla successiva sessione annuale.
Da quanto emerge dal sistema concorsuale forense, vi è una certa similitudine con il sistema concorsuale notarile e quello giudiziario e quello accademico, così come le cronache del 2008 ci hanno informato sugli scandali che li hanno investiti.
Certo è che se nulla hanno smosso le denunce del Ministro dell’Istruzione, Maria Grazia Gelmini, che nel 2001 è stata costretta a trasferirsi da Reggio Calabria a Catanzaro per poter superare l’esame, e del Sottosegretario al Ministero degli Interni, Alfredo Mantovano, le centinaia di denunce presentate in tutta Italia dai candidati contro i concorsi truccati, sono regolarmente insabbiate.
Il concorso di avvocatura? Si cerca di passare a qualunque costo. Nel 2008, tra novembre e dicembre il caos. Se al concorso di magistratura succede di tutto, a quello di avvocatura è ancora peggio. Due concorsi diversi, stessa sorte. Niente male per essere un concorso per futuri magistrati ed avvocati. Niente male, poi, per un concorso organizzato dal ministero della Giustizia. Dentro le aule di tutta Italia, per il concorso di avvocati che si svolge in ogni Corte d'Appello italiana, è entrato di tutto: fotocopie, bigliettini con possibili tracce e, soprattutto, palmari e cellulari. Eppure le regole dovevano essere più rigide. Dovevano esserci più controlli. Era stato assicurato dal ministero della Giustizia. Con tanto di sanzioni e espulsioni.
Il giochino è stato ed è lo stesso di sempre. I nuovi cyberavvocati questa volta hanno usato la rete. Chi con l'amico all'esterno che suggerisce il compito, chi invece più audace e coraggioso lo cerca dal cellulare in aula. La regola è: passare. E' Sara a spiegare come funziona :"Ti dico come ha funzionato ieri, io ho dettato il parere già bello e fatto ai ragazzi e loro lo hanno cambiato, poi si confrontavano tra di loro nella scuola, anche xkè il parere va dettato x tel!".
Ma nei forum si trovano avvisi come: SU QUESTO ED ALTRI SITI - E' CERTO CHE GLI AUTORI DI MESSAGGI ATTI AD AGEVOLARE I CANDIDATI ALL'INTERNO DELLA SEDE D'ESAME SARANNO IDENTIFICATI DALLE FORZE DELL'ORDINE E RISPONDERANNO DI FRONTE ALL'AUTORITA' GIUDIZIARIA DEL LORO OPERATO. Non è uno scherzo. Eppure si aggira l'ostacolo cambiando forum. Insomma, fedele al motto “fatta la legge, trovato l’inganno”.
E alle 10, quando le tracce non sono ancora state dettate, (molti forum riportano le ore esatte delle dettature come mininterno.net che recita 17/12/2008 10.43.10 BARI HANNO DETTATO e ancora 17/12/2008 10.46.51 stanno dettando a Napoli o ancora praticanti.altervista.org noi le abbiamo già). E dopo appena 10 minuti le soluzioni complete e integrali si trovano già in rete. E così anche Affari Italiani hanno provato ad infiltrarsi all'interno di uno dei moltissimi forum che popolano il web, e dopo essersi spacciati per futuri avvocati che dovevano sostenere l'esame sono riusciti a mettersi in comunicazione con alcuni dei ragazzi, praticanti avvocati, che dall'interno delle aule italiane dovevano svolgere i compiti. Una sorta di rete virtuale e illegale che si sviluppa in tutta Italia. Con una prerogativa: passare.
Forum, messanger, email. E chi ne ha più ne metta. Mentre si svolgono le prove scritte di avvocatura in tutta Italia, i furbetti tentano di farla franca usando la rete. E' stato semplice. E' bastato scambiarsi un indirizzo mail e il msn. " Perchè sono più sicure" ci dice Marco: "Sui forum si rischia troppo". E poi darci appuntamento durante l'esame (iniziato ieri mattina).
"Perchè una volta portato all'interno il cellulare è fatta. Nessuno dice più nulla. Nessuno controlla più, i commissari non passano". Giuseppe invece attenderà fuori la traccia perché deve aiutare una persona cara e ti da anche dei consigli "cerca di non farti beccare con il cell" mi dice "nascondilo bene e vai in bagno per riuscire a leggere. Ti mando la soluzione appena ce l'ho". Detto fatto. Nel giro di pochi minuti ho la soluzione in mano. Mezz'ora dopo la trovo anche su mininterno.net. Completa ed esatta. A noi arriva da uno dei ragazzi conosciuti in rete: "Ho mandato la traccia a mia sorella, me l'ha già risolta. Non c è molto su cui si deve ancora lavorare".
Così mentre si svolge la prova scritta di penale io ho già la mia traccia del tema con tanto di soluzione e sentenza di riferimento. Dopo dieci minuti mi arriva anche la seconda. Noi intanto ci teniamo in comunicazione via msn e su alcuni forum. Alcuni fanno domande, alcuni danno risposte. Più o meno giuste. Tutte dalle aule.
Eppure era già capitato nel 2007. Stesso concorso. Sede di Milano. Un giovane aspirante avvocato si era alzato dalla sedia e rivolgendosi al presidente della commissione l'avvocato Marisa Meroni che sta leggendo le tracce dell'esame davanti ai circa 4mila esaminandi. Aveva detto: "Siete tutti dei buffoni, l'esame è da annullare. Questo esame è una farsa, c'è già chi conosce le tracce".
Certo che di questi futuri avvocati ci sarà proprio da fidarsi.
Presunte irregolarità si sarebbero, anche, verificate nella prova di selezione per l'ammissione al concorso per avvocati in svolgimento nell'area della fiera del Levante a Bari. A segnalarlo a Telenorba è un candidato espulso dalla prova insieme con altri otto aspiranti. Sul posto sono giunti i carabinieri.
Da quanto si è appreso, secondo i commissari i candidati espulsi avevano fogli e altri strumenti non autorizzati per portare a termine in modo più semplice la prova. Oltre a contestare questi episodi, il candidato che ha segnalato la vicenda ha riferito di aver visto una candidata ricevere aiuto da un commissario e che due dei candidati espulsi sono poi stati riammessi, senza fornire spiegazioni agli altri rimasti esclusi.
Il candidato che ha segnalato l'episodio avrebbe chiesto inutilmente di mettere a verbale quanto gli era stato contestato. Ha inoltre riferito che gli erano state concesse due ore in più per ultimare la prova, avendo subito interventi chirurgici alle mani, ma poi questa concessione sarebbe stata estesa a quasi tutti i candidati.
La prova, ha riferito il candidato, doveva essere ultimata entro le 18.15 ma a distanza di oltre un'ora almeno 50 candidati erano ancora al lavoro.