Laureati e analfabeti


PARLIAMO DI UNIVERSITA'.


Cioè dell’Università dei concorsi bloccati, della parentopoli, degli scandali dei baroni.

L’Università delle lauree vendute e dei testi falsificati.

L’Università truccata, come rivela in un bel libro della Einaudi, il professor Roberto Perotti, docente della Bocconi: l’Università che nelle classifiche internazionali finisce dietro quella delle Hawaii, che spende più di tutto il resto del mondo (16mila dollari per ogni studente contro i 7mila degli Usa) ma non dà risultati scientifici né una formazione adeguata. L’Università che, grazie alle sue inefficienze, premia le élite e, contrariamente a quello che si crede, punisce i ceti meno abbienti: solo l’8 per cento degli universitari italiani proviene dalle fasce più basse contro il 13 per cento degli Stati Uniti. Ma non erano i costosi Atenei americani il simbolo dell’anti-democrazia educativa?

Oggi l’ultima scoperta: all’Università di Como ci sono 24 docenti per 17 studenti. Un bel record, non vi pare? In sei anni le Università hanno moltiplicato i corsi di laurea: da 2444 a 5400. E non tutti utilissimi, si direbbe a prima vista. In effetti oggi si può diventare dottori, tanto per dire, in scienza dell’aiuola, in mediazione dei conflitti, in tecnologia del fitness, in scienza del fiore e in benessere animale. Manca solo il corso di laurea in raffreddore dei suini e quello in filosofia delle oche e poi il quadro sarebbe completo.

Ma poi che sbocchi danno queste facoltà? E chi le frequenta? Tenetevi forte: trentasette corsi di laurea in Italia (dicasi: 37) hanno un solo studente, a questi vanno poi aggiunti altri 66 corsi che hanno meno di sei studenti. Ma vi pare possibile? Tenere in piedi un corso di laurea e relative spese per un unico studente? O per due o tre?

A Siena hanno collezionato un buco di 145 milioni, non pagano le tasse dal 2004. Poi vai a vedere i bilanci e scopri che, per esempio, l’oculato ateneo spendeva 150mila euro l’anno per affittare alcune stanze di lusso con affaccio su piazza del Campo: inutile tutto l’anno, certo, ma nei giorni del Palio, sai che goduria...

L’Università di Siena utilizza il 104 per cento del suo bilancio per pagare stipendi. 104, avete capito bene: e per tutto il resto? Niente. Nell’ateneo toscano i tecnici sono più numerosi dei professori. E non è un caso unico: a Palermo, per esempio, ci sono 2.103 professori e 2.530 amministrativi, a Messina 1.403 professori e 1.742 amministrativi. La Federico II di Napoli, che nelle classifiche si piazza fra le dieci peggiori università d’Italia, spende il 101 per cento dei suoi soldi per il personale. L’impressione è che anche le facoltà, come la scuola, negli ultimi anni siano stati concepiti più come ammortizzatori sociali che come luoghi di formazione: non si sa se chi esce troverà un posto di lavoro. L’importante è che trovi un posto di lavoro chi resta dentro.

PARLIAMO DI SCUOLA.

L’ultimo scandalo della scuola si chiama Supplentopoli. Ogni anno 150 insegnanti accettano l’incarico e poi dicono di essere in maternità. E così la supplente dovrà essere sostituita da un’altra, sperando che anche quest’ultima non si giochi la carta della dolce attesa. Un meccanismo perverso in vigore solo in Italia, che comporta allo Stato un insostenibile spreco di denaro. Questo a sentire le testimonianze dell’Andis, l’Associazione dei dirigenti scolastici. I dati in possesso dell’organizzazione che raggruppa i presidi sono emblematici: ogni anno oltre mille tra supplenti, precari e fuori ruolo fanno ricorso ad aspettative di maternità e congedi parentali. La legge lo permette. E chi ne fa ricorso è pienamente in regola.

Un altro esempio? Per un posto vengono pagati cinque docenti mentre per sostituire un insegnante si arriva a fare 574 telefonate.

Tra telefonate e telegrammi di convocazione (obbligatori per legge), la scuola italiana spende 50-60 milioni di euro l’anno (Roma guida la classifica con 2 milioni l’anno), secondo uno studio della rivista Tuttoscuola la spesa complessiva sarebbe però addirittura di 110 milioni. Una mostruosità normativa di cui beneficiano, con modalità diverse, tutte le figure professionali impegnate nel mondo della scuola la cui gestione è regolamentata attraverso le graduatorie. Parliamo dell’esercito più numeroso nell’ambito del pubblico impiego: nel reparto istruzione lavorano infatti un milione e 300mila persone che negli ultimi 10 anni hanno determinato l’aumento del 30% dei costi, portando la spesa complessiva da 33 a 43 miliardi di euro.

Fin qui il malcostume. Poi ci sono i reati da codice penale. Come lo scandalo della graduatorie truccate a Napoli con 60 professori denunciati. Punteggi ritoccati da pirati del web in cambio di tariffe tra i 100 e i 300 euro. Un tariffario a misura dei furbetti delle supplenze che presuppone la presenza di una talpa all’interno del Provveditorato agli studi di Napoli.

fonte: malagiustizia.eu